Radio Ghetto – Voci libere e giganti

dicembre 7, 2019 § Lascia un commento

Correte a Carozzerie Not. Un ghetto. Quel luogo che pochi hanno la possibilità di conoscere. Quel luogo che inizia con un chiodo e teli e tubi di plastica, e “case” che sventolano nella pioggia, e finisce sempre con un incendio. Stratagemmi per sopravvivere. Nella dignità estrema. Tenerezza. Fili di ferro e riciclo quotidiano; ambulanti, bar, bordelli, gommisti, disco, bettole, braccianti, uomini in piedi, giganti. Si, sono Giganti quelli lì che vivono negli interstizi del capitale, come caduti in una faglia – la nostra -, scaraventati nel buio, ma non per il mancato allaccio alla luce. «We live in darkness; am I not living in darkness?», mi racconta pazientemente Abraham, quasi un rap le sue parole sul fondo delle masserie abandonnate di Cerignola, uno degli assembramenti informali del Foggiano. 74 anni piegati nei nostri campi a raccogliere nostri asparagi, e pomodori, e a potare gli ulivi per 3/4 euro all’ora, dipende dai prezzi fissati dalla grande distribuzione, e costretti a cagare nel campo che coltivano.  Con gli sportelli dell’ASL che si richiudono in faccia, e ti abbandonano senza cure e medicinali. Qua incontri i senza documenti, i fuori accoglienza, i vulnerabili, i disabili, i disoccupati, i senza tetto, alcune prostitute, ladri, lavoratori in attesa di protezione; un immenso porto: la marginalità.

Sulla pista, c’è Sidibé e la sua pecora… che ci porta per mano attraverso la follia-luogo, la pecora da gonfiare per la festa, tra i rumori di fondo di una quasi città che brulica. E la meravigliosa attrice Francesca Farcomeni, che senza aver mai visitato il ghetto, proprio per questo forse, ha visto tutto con la fantasia, e ha depositato in sè strati di sguardi, e ha ancora la freschezza di chi prova ancora ribellione.

C’è l’incredibile testo teatrale scritto a dodici mani dal collettivo di Radio Ghetto sulle tracce audio e sui preziosissimi archivi di questa radio partecipata  e libera. Che genialmente si ascolta in scena con le cuffie, ed è proprio l’assenza di immagini che permette, forse, l’ascolto. Voci, vite. Un canto.

Come fare allora vedere un’invisibile? Come raccontare un luogo che sfugge, nascosto, strasaturato di significati e rumori mediatici, che rinasce sempre e ci riguarda come uno specchio? Nostra medusa taciuta. Come restituirlo, nelle sue contraddizioni, nelle sue fogne e nella sua bellezza dirrompente? Dire la sua potenza, laddove i vicoli sonori ti guidano diritto in Africa, laddove tutto, senza baobab, è condiviso, riciclato e ballato? Dove la gioia esplode ancora. Tela, schegge, mosaico sonoro di chi è passato e continuerà a passarci. Ecco forse quello che è un ghetto. E che la magica regia di Luca Lotano, Jack Spittle (regia audio), Raffaelle Urselli (allestimento), Marco Stefanelli (montaggi audio) e tanti altri nomi da ringraziare, sono riusciti a farci vedere. E a intravedere forse, in filigrana, noi stessi.

Flore Murard-Yovanovitch

Nave-testimonianza, Mediterranea

ottobre 10, 2018 § Lascia un commento

Una nave-speranza nel buio nostro, nell’atroce silenzio che circonda il genocidio del popolo migrante nel Mediterraneo. Nella disumanità che ci divora arriva una magnifica notizia, delle notizie che sai che sono speranza, cambiamento, segnale. Il 3 ottobre scorso è salpata Mare Jonio di “Mediterranea”, una nave che batte bandiera italiana ed è partita nei giorni scorsi per raggiungere le acque internazionali che separano le coste italiane da quelle libiche. Non effettuerà solo soccorsi ma sarà testimonianza, denuncia della strage di persone migranti nel Mediterraneo, dell’assenza di soccorsi, del silenzio e della complice indifferenza dei governi italiano ed europei. Hope in the dark. Sarà nostri occhi nel Mediterraneo.

Le ultime notizie parlano ancora di naufragi invisibili innominabili, e di respingimenti illegali. Lunedì 1 Ottobre, Colibrì di Pilotes Volontaires, l’areo di monitoraggio del Mediterraneo in partnerships con Sea-Watch, ha avvistato un cadavere galeggiante abandonnato a mare, segno di un ennesimo naufragio “invisibile”, senza nome ma con responsabilità noti. Il 2 Ottobre, l’osservatorio Watch the Med/Alarm-Phone ha riportato la richiesta di Sos di un barcone con 120 persone la cui assistenza è stata rimandata alla cosiddetta guardia costiera libica, e la cui sorte rimane sconosciuta. Infine, nella notte tra il 2 e il 3 Ottobre, alla vigilia della ricorrenza dell’anniversario della strage del 3 ottobre 2013, la richiesta di soccorso di 80 persone, la cui sorte non è chiara, pare siano state riportate in Libia; come gli ultimi circa 40 persone di un gommone in difficoltà, ricondotto il 5 ottobre nell’inferno della Libia come denuncia Mediterranea. Un paio di interventi della Guardia Costiera Libica, che ha intercettato due gruppi di migranti per un totale di circa 190 persone. Mentre la lista dei morti o respinti continua ogni giorno, ogni ore, secondo  recenti stime di Iom e Unhcr, il rapporto tra i morti e i dispersi e le partenze è il più alto mai registrato nel Mediterraneo centrale, di almeno 20%.

Alla missione si affiancherano altre imbarcazioni di appoggio, col sostegno dell’ong tedesca Sea-Watch, e Astral, una delle navi di Proactiva Open Arms, salpata alcuni giorni fa dalla Spagna. Accompagnate dall’instancabile che lo scorso La nave Mare Jonio è al centro di un progetto promosso da una rete di associazioni, ong e realtà politiche e sociali (reso possibile dal contributo di Banca Etica). Ponte, piattaforma della società civile, occhi. La nave seguirà l’unica rotta possibile, quella dell’umanità. Per salvarci da un presente e futuro di odio e razzismo e rassegnazione; per “necessità di sostenere un’iniziativa italiana di mettersi in mare in prima persona”, come spiega Giorgia Linardi ambasciatrice dell’Ong Sea-Watch per l’Italia. Ma la bussola sarà anche il diritto.  Perché oltre alle leggi del mare, la nave obbedirà alla sola Costituzione. Come afferma Alessandra Sciurba, della rete Mediterranea,“siamo in mare per salvare noi stessi, per salvare nostro stato costituzionale: aprire squarci nel sistema dei diritti significa mettere in pericolo i diritti di tutti”. E aggiunge, “quest’azione non governativa pone in sicurezza la società civile italiana”. Noi.

Nave-disobbedienza. Per ribellarsi ai porti chiusi, al governo italiano, alla complicità degli Stati europei, e tornare alla necessità primaria di salvare vite. Non lasciarle annegare o peggio, non lasciare che siano fatte annegare dall’assenza di soccorsi, o dai documentati violenti metodi delle guardie costiere libiche finanziate da Italia e altri Stati, o riportate nei lager libici. Nave contro l’indifferenza complice e le multi violazioni della Costituzione e dei Trattati internazionali. Nave contro il silenzio.

Punti da spiegare, per esempio, potrebbero essere il perché del tasso di mortalità nel Mediterraneo centrale negli ultimi mesi sia aumentato e in continuo aumento. Monitorare l’assenza di soccorsi, i respingimenti illegali, l’immane ciclo di abusi a cui vengono sottoposti gli sfuggiaschi dalla Libia e respinti, ecc. Segno che la società civile italiana è viva, e capace di fare rete, intanto del nucleo promotore fanno parte singole persone e associazioni, parlamentari e scrittori. Troverete loro nomi sul sito di Mediterranea dove si pu’o anche donare.

Una nave-speranza nel cuore dei tempi neri. Nostri occhi a mare. Puntati sull’Abisso.

Siria-macerie umana

aprile 7, 2017 § Lascia un commento

«Ognuno ha i suoi cocci e le sue rovine, ma è sempre lo stesso disastro quando si perde un pezzo del passato.»

Nicola Bouvier, La polvere del Mondo (2004)

La devastazione della Siria, va afferrata dal suo contrario: da quello che è stata. Dalla sua assenza. Perché solo posando lo sguardo sui palazzi, moschee, bus, cinema, si potrà forse afferrare la passata normalità ora sventrata. Dettagli, sorrisi, scarpe, gente che cammina, strade piene, atmosfere allegre e vitali della Siria prima della guerra senza fine. Solo allora soffermandosi sul pieno, si potrà cogliere il vuoto.

Un paese a cui si è inflitto un tasso di distruzione mai visto, nella storia, una proporzione di bombe e macerie mai vista. L’annientamento di un intero territorio e lo sfollamento di una grande parte della popolazione.

Per questo motivo il libro di Giuseppe Alizzi “Sham Sham. Persone cose luoghi siriani”, pubblicato dai tipi di Mesogea, è cosi necessario. Raccogliendo fotografie dell’architettura siriana, compone uno racconto del vuoto odierno. Un patrimonio, anche immateriale, come classificato dall’Unesco, che “non sarebbe mai dovuto andare in frantumi ed essere perso”, come ricorda Alizzi durante la presentazione del libro al Middle East Now Festival. Le schegge dei vetri esplosi, tra le pagine, arrivano fino a noi. “Le foto di Alizzi, non sono professionali hanno piuttosto una funzione di conservazione”, come li definisce Lucia Goracci,giornalista che introduce il libro nell’anteprima di Firenze. E aggiunge “Una realtà umana e materiale ridotta alla polvere, resa maceria umana».

Il libro, che ricostituisce dignità e normalità alla Siria, ha anche dato nascita ad un installazione – il progetto multimedia Sham Sham. Inizia da questa domanda:

IS IT POSSIBLE TO UNDERSTAND THE SCOPE OF DESTRUCTIONWITHOUT SHOWING IT ?

Scorrono allora immagini normali e dettagli della Siria prima dell’apocalisse. È l’intento provocatorio “Syrian soap”, “syrian pencil”, “syrian mosche”, dettagliandone la materia, persino syrian smarphone, per fare capire che di tutto questo non è rimasto nulla. Il nulla.

Ma in mezzo a questa maceria-territorio, salgono note. Una musica di Resistenza. Un pianista si ripara all’ultimo piano di un palazzo semi-crollato e suona per i rari sfollati ancora vivi. E suona una musica-speranza. Quando il piano viene sparato e fatto esplodere dalle milizie Jihadisti, si mette a cercare le parti mancanti del piano, a ripararlo, e a ritrovare un senso insegnando la musica ad un giovane allievo. Ma la musica, la cultura, non devono esistere in zone controllate dalle milizie nere, che come nel film di Sissako, Timbuktu (2014), fanno tabula rasa di ogni arte e espressività umana ammazzando musicisti artisti ballerini attori e vietando la musica privata. La resistenza allora diventa suonare di notte tra amici nella città assediata. In Nocturne in Black di Jimmy Keyrouz, il terrore è concentrato in un’immagine. Il bimbo che impara a suonare il piano, scaraventato sul pavimento in una macchia di sangue. Le milizie ammazzano l’inizio, la speranza, la fantasia. Il pianista Karim, in un ultimo atto di ribellione totale, scende in piazza e a rischio della propria pelle, suona una sinfonia sulla piazza devastata, per risvegliare il vicinato, chiamarlo alla Resistenza interna, quella della musica. Un mini-capolavoro ispirato alla storia vera del “pianista siriano”, di un regista di cui si sentirà parlare, è stato mostrato in anteprima italiana al Middle East Now Festival edizione 2017.

Nocturne in Black, di Jimmy Keyrouz (Libano, Siria 2016, 23’). v.o arabo, sottotitoli: italiano, inglese

Migranti: La percezione delirante

luglio 4, 2016 § Lascia un commento

Le dichiarazioni sugli “hotspot galleggianti”(Alfano) o sui “migranti da confinare sulle isole” (Sebastian Kurz, ministro degli Esteri austriaco), non dovrebbero sorprendere più di tanto. Sono nella stretta logica di una ormai palese percezione delirante che fa del migrante un invasore da “contenere”, rinchiudere e respingere. L’intera terminologia delle politiche criminogene migratorie europee degli ultimi anni sono fondate su questo vocabolario del contenimento. Se si è superato un livello verbale e di violenza del pensiero con la proposta di ricalcare il modello australiano di isole-lager nel Pacifico (varie volte condannato dalle organizzazioni dei diritti umani), in realtà quel pensiero è stato già applicato nel cuore dell’Europa. Con il Trattato con la Turchia_  isole-detenzioni per migliaia di profughi siriani o respingimenti illegali in Siria sotto le bombe. La logica si ripete oggi col Partnership Framework con i paesi terzi e il Migration Compact, che prevede investimenti nello sviluppo con paesi del Nord Africa condizionati a “precise obbligazioni” nella cooperazione in materia di sicurezza militare-poliziesca per “frenare i flussi” a tutti costi. Cioè accordi con le dittature sudanese, eritrea, gambiana e altre stati subsahariani che non brillano per il rispetto dei diritti umani per confinare migranti in campi-prigioni o per respingerli indietro. Giungono già allarmanti notizie dall’agenzia Habeshia e da Human Rights Watch di centinaia di rastrellamenti di profughi eritrei in Sudan e di deportazioni nelle celle di Afewerki. Cosa li succederà? Si sa, torture o sparizioni. L’espressione “gestione dei flussi” nasconde in realtà detenzioni e deportazioni mascherate in un’Europa che propina ormai politiche illegali – di negazione del diritto d’asilo e del diritto internazionale – dichiaratamente razziste, che, come ha ricordato di recente Barbara Spinelli “emulano le proposte della destre estreme”; (aggiungo), politiche potenzialmente eliminazioniste. Perché alla radice c’è la negazione dell’altro.

Bisogna invece interrogarsi d’urgenza sul riemergere di una percezione delirante in politica e che sta a due passi dal divenire psicosi di massa – con  la retorica della costruzione di una pseudo invasione, del ribaltamento di tutta la realtà migratoria in un discorso che ne annulla la realtà: “invasione” quando si tratta di numeri di rifugiati gestibili da paesi del G8, “accoglienza” mentre si tratta di detenzione, “soccorsi” quando si tratta di omissioni. Peggio, questa capacità di determinare l’opposto della realtà vera, non può che aver un significato politico regressivo: il volto del fascismo di natura nuova, che in Derive, avevo denominato  il «Fascismo della Frontiera». Ormai un fascismo anti-migrante globale, dall’Australia all’America di Trump.

Quel pensiero che annulla l’altro è alla radice delle reazioni belliche anti-migranti, come l’annuncio inglese di dispiegare la Marina per 20 Afghani trovati su un gommone nel Canale della Manica, l’invio di Navi NATO nel Mediterraneo, l’operazione Sofia o EUNavForMed (e più in sottofondo uno dei motivi del Brexit). E quanto sappiamo realmente delle vere dinamiche di training europeo alla guardia costiera libica per frenare le imbarcazioni – stracolme di persone? Soccorsi o speronamenti? Nell’ultimo rapporto sulla Libia, Amnesty denuncia respingimenti in mare e deportazioni indietro vero i lager libici.

Le centinaia di corpi che affiorano sulle spiagge libiche e le voci dei detenuti nelle celle libiche dicono altre cose: svelano uno sterminio in corso. Di migliaia di profughi intrappolati in Libia tra il rischio di venir respinti indietro, detenuto o di morire nel Mediterraneo.

Un’Europa che “fa il buio” di fronte al diverso, e ripropone l’annullamento dell’altro non può infatti che rischiare di riportare alla reinvenzione di un odierno annientamento razziale. Inoltre, porta alla direttam«possibilità del nazismo che può annidarsi in ogni rivoluzione che sia fatta con l’annullamento e la negazione di ciò che è», (Massimo Fagioli, Bambino donna e trasformazione dell’uomo).

Come meglio descrivere la patologica reazione europea odierna che nega completamente l’umanità di una massa di persone – illudendosi di frenarla, arginarla o fare come se non ci fosse – sperimentando soluzioni di respingimenti e sparizioni?

@Huffington Post, 4 luglio 2016

Recensione a La Negazione

giugno 19, 2016 § Lascia un commento

Bellissima recensione, ritmata, sensibile, musicale, dalla scrittrice Ilaria Guidantoni, che ha colto il significato profondo di La Negazione del soggetto migrante.

Scrive “Libro manifesto di grande attualità per un’autrice impegnata. Una sorta di decalogo scritto però con un linguaggio poetico anche se crudo, rapido e visionario come una partitura rap e un muro disegnato.(…) Sette punti per definire l’innominabile, che diventa lo specchio di una società indifferente, ottusa e del tramonto della società”.

http://www.saltinaria.it/recensioni-libri/libri/negazione-del-soggetto-migrante-di-flore-murard-yovanovitch-recensione-libro.html

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Migranti subsahariani in Libia: l’eliminazione razziale

giugno 11, 2016 § Lascia un commento

Quei volti emaciati, denutriti, dei profughi che giungono, dalla Libia sulle coste siciliane, mi ricordano altri volti. Quei volti delle foto d’archivio della seconda guerra mondiale.

Raccontano oggi, tutti, di essere stati aggrediti, picchiati giorno e notte. I segni sui corpi non mentono, sono segni di percosse, ustioni, ferite da armi da fuoco. Raccontano di compagni detenuti nei campi di detenzione, nelle carceri libiche o nei campi prima della partenza, che si ammalano, e poi scompaiono o vengono sparati quando provano a fuggire (Habeshia riporta il caso di 5 eritrei spariti e tanti feriti durante un tentativo di fuga dalla prigione di Al Nasrm, nei pressi di Zawia, ad Aprile scorso). I racconti svelano questo lento eliminarli, dagli stenti – niente acqua, negazione delle cure, niente medicinali e sovraffollamento di corpi incastrati gli uni sugli altri. O ancora si riscontrano fratture agli arti inferiori, per quelli gettati dai piani alti dei palazzi che costruiscono coattamente, quando si ribellano alle bande che gestiscono il lavoro forzato. Per non menzionare gli stupri sistematici sulle donne subsahariane ridotte in schiavitù sessuale.

E’ la nuda vita del migrante nero in Libia, cacciato, sequestrato, venduto, abusato, picchiato, offerto al razzismo, gettato nel vuoto. Demba, gambiano, (uno delle decine voci e testimonianze che ho raccolto nei porti siciliani nell’autunno scorso, e alcune andate in onda a Radio3):  “I Libici odiano i neri. Se stai in Libia vedrai tante persone sequestrate in campi, ti sequestrano in luoghi chiusi, in campi che non sono carceri; è un vero business, se tu paghi ti liberano, se non paghi non ti liberano. In prigione, ti picchiano fino alla morte. Io ho visto un ragazzo picchiato fino alla morte. I libici non pensano che sei un essere umano. Ti picchiano fino al tuo ultimo respiro. In Libia, io ho visto tutti questi abusi”. Quelle storie ascoltate, di sequestri, traffici umani e detenzioni di massa contro i migranti subsahariani in Libia, svelano solo la punta dell’iceberg di un’eliminazione di natura razziale in corso.

Come raccontava la mia amica Susan, medico di Emergency a Siracusa: “ Te ne accorgi subito che hanno subito violenze. Basta guardarli negli occhi: il loro sguardo, triste e perso nel vuoto, è inconfondibile”. Durante l’azione di Medici Senza Frontiere (MSF) di assistenza ai richiedenti asilo e ai migranti in Sicilia nel 2014 e nel 2015, sia agli sbarchi che nei centri di prima accoglienza, oltre l’80% delle persone visitate dalle équipe di MSF ha dichiarato di aver subito abusi e violenze durante il viaggio verso l’Europa e la permanenza in Libia, dove la maggior parte di loro è rimasta bloccata per diversi mesi.

Dai racconti lenti, inaudibili, tra i silenzi, si svela e si riscostruisce il puzzle più vasto del gigantesco genocidio dei migranti in Libia. Picchiati a morte o lasciati morire nelle celle. O costretti all’abisso.

Renzi propone il “Migration Compact” che affida la gestione dei flussi di persone a dittatori, con investimenti nello sviluppo condizionati a “precise obbligazioni” nella cooperazione in materia di sicurezza militaro-poliziesca per “frenare i flussi”. Leggere: a tutti costi. A quei profughi subsahariani che avrebbero diritto d’asilo spettano dunque ancora detenzioni  in lager (il “modello libico” moltiplicato a 7 paesi del Nord Africa), rastrellamenti, e respingimenti, sparizione. L’Agenzia Habeshia riporta che “tra il 16 maggio e il 18 maggio quasi 1000 eritrei sono stati catturati a Khartoum: 380 sono stati rimandati indietro e gli altri sono in attesa per lo stesso trattamento in un centro di detenzione”. E secondo altri fonti di gruppi di diritti umani, rastrellamenti di massa sarebbero in corso in altre città nei paesi di transito in Nord Africa.

La verità della cosiddetta “esternalizzazione delle frontiere” sono i respingimenti, e le torture, per i nuovi desaparecidos, di cui a breve non avremmo più notizie.

Migliaia di profughi sono intrappolati dalle nostre politiche migratorie in Libia. Uccisi, da un lato dai respingimenti, dall’altro dal rischio di morte nel Mediterraneo. L’Europa deve rifiutare la logica di morte del del “Migration Compact”, del processo di Khartoum e di Rabat e degli illegali “hotspot galleggianti”, e “le soluzioni a questa crisi devono rispettare la nostra comune umanità, come esortava, inascoltato, Elhadj Come Sy, segretario generale della Federazione Internazionale della Croce Rossa.

Intanto, circa 250.000 rifugiati e richiedenti asilo sono intrappolati in Libia, e come ricordava l’ONU a ottobre scorso, con un urgente bisogno di protezione internazionale; rischiano di essere eliminati, o di annegare a qualche miglia dalle nostre coste. Quest’estate rischiamo di trovare i loro cadaveri sulle nostre spiagge.

I volti emaciati e denutriti che ho visto sulle panchine, le parole ascoltate, hanno una stretta somiglianza con quelle dei sopravvissuti ad uno sterminio. Alle porte dell’Europa, per via di precise scelte politiche, un annientamento di massa è in corso.

Corridoi umanitari subito.

@Left, 11 giugno 2016, pubblicato in rubrica “Pareri” con titolo “L’Europa rifiuti il Migration Compact”.

 

Derive razzista

luglio 20, 2015 § Lascia un commento

Quinto di Treviso, Casale San Nicola di Roma, Cagliari: le violenze e gli attacchi frontali, istigati dall’estrema destra, contro i migranti si moltiplicano. Fuochi dello stesso rogo. Acceso anni fa dalla politica che ha gestito la questione migratoria come problema di sicurezza, con un linguaggio malato. La violenza razziale, sale, è sotto gli occhi di tutti. Rari però sono quelli a voler davvero agire, nella paralisi cieca tipica dei periodi prefascisti. Prima del disastro.

Nessuno si chiede, oltre alla facile e remissiva analisi di una “guerra tra poveri”, quale tipo di psicopatologia sia in atto nel paese, e più  in generale  nel continente europeo, né quale sarebbe la cura, se ancora abbiamo tempo.

I prodromi dell’odierna esplosione di violenza razziale sarebbero infatti da andare a ricercare in anni di politica del “campo”; di detenzione dei migranti nel perimetro di massima sicurezza (Cie) o in luoghi a parte (Cara), recintati, allontanati, periferici, specifici, distinti. Questa segregazione è purtroppo “riuscita” nella sua missione di criminalizzare il migrante, emarginarlo, espellerlo dalla quotidianità. Di fatto, la recinzione produce un’insuperabile alterità, la lenta convinzione che questa distinzione tra autoctoni e detenuti sia naturale, nelle cose, legittima. I Cie, i Cara, i cosiddetti centri di accoglienza sono micidiali educatori al razzismo, hanno già sprigionato i loro effetti nefasti e duraturi: fare prendere corpo, nel linguaggio e nell’opinione, identità cariche d’intolleranza. Quelle che esplodono oggi.

Inoltre, anni di politica migratoria come sicurezza, imbastita a colpi di decreti e circolari – lo stato di eccezione per i “neri” – ha prestabilito un trattamento normativo diseguale, confermando nel gruppo maggioritario dei “gentili” bianchi, la superiorità di un “noi”. Nell’avere fatto della irregolarità un reato e poi di profughi mere categorie, cifre, non-persone, pacchi postali da trasferire, rimuovere, gestire, si è prodotta una grave reificazione dell’altro, prima fase del razzismo di massa, come analizzava Josef Gabel in “La falsa coscienza”. E già,  anni di Bossi-Fini, di clandestinità diventata “reato”, sinonimo di pericolosità e di criminalità, come analizza lucidamente Clelia Bartoli nel suo importante “Razzisti per legge”, aveva radicalizzato nelle menti la differenza quasi fosse «per natura», e fatto dei “clandestini”  una sorta di «neo-razza».

Il campo produce razzismo e intolleranza, il campo è il primo passo dei pogrom. Lì allora tutto è possibile. Anni che attivisti, le Cronache di razzismo ordinario e altri allertano la politica dei rischi della loro cecità. Gli stessi esponenti del PD che oggi sembrano così sorpresi, sono quelli che anni fa istituivano i primi CPT, non hanno chiuso i Cie né i centri di accoglienza, né tentato almeno un’alternativa.

Oggi i segnali sono purtroppo senza limiti, della deriva razzista che non arginata rischia di diventare fuori controllo.  La miccia accesa su tutta la penisola da nord a sud (bruttissima la notizia che persino alcuni sardi, noti per la loro geniale, sconfinata infinita, a volte eccessiva, ospitalità, abbiano avuto reazioni di ostilità e rigetto. Bruttissimo segnale. Un caposaldo dell’Italia si sgretola e lascia immaginare il peggio).

Il rogo. L’orrido spettacolo del rogo dato ai mobili di 19 profughi a Quinto. E’ il buio che ci aspetta. Sembrava con sgomento e orrore di rivedere i vecchi video degli autodafé e raid dei nazisti prima della loro conquista del potere, una notte di Cristallo. Perché quel rogo, avvertiamo, era un tentato pogrom. Non una protesta. I  cronisti sbagliano a usare la parola “protesta di cittadini”, mentre si tratta di gruppi che condividono l’ideologia che il migrante è da espellere perché migrante, nocivo perché migrante, inferiore perché accolto, e istigati dalle ben note Casa Pound e Lega. Si tratta di violenza razziale,  e bisognerebbe usare la terminologia giusta se si vuole combatterla, oppure si è d’accordo a lasciarla diffondere. Intanto il Fascismo della Frontiera, nato sui muri dei campi che costellano l’Europa, sta diventando Fascismo tout court.

In quest’estate 2015, che chiudendo gli occhi, sembra davvero essere ad un punto di svolta storica, qualche metro verso l’abisso culturale tanto descritto da Ernesto de Martino.

Lettera aperta ai media italiani: Fossa comune Mediterraneo, tutti colpevoli, media per primi

luglio 19, 2015 § Lascia un commento

Fossa comune Mediterraneo: tutti colpevoli, soprattutto i media

E’ vergognoso che una strage di 100 migranti, avvenuta al largo di Tajoura in Libia, sia potuto passare nel silenzio quasi totale dei media italiani. Secondo il sito di Migrant Report (basato a Malta) e secondo le prime ricostruzioni, circa 100 corpi sarebbero stati restituiti sulle spiagge della località situata a 10 kilometri a est di Tripoli. Molte le donne e i bambini. Se il numero delle vittime, per il momento non confermato dalle autorità libiche venisse confermato, sarebbe la seconda più grande strage dall’inizio dell’anno dopo quella del 18 aprile in cui hanno perso la vita circa 850 persone. Ma la questione ora è la censura dell’informazione, già embedded e imbavagliata mentre inizia la missione militare in Libia. Infatti, (a parte Avvenire) nessun giornale italiano, nessun TG ( a parte RAI News 24) ha riportato la notizia. Un silenzio profondo come la fossa comune che è ormai diventato il Mediterraneo. E che a quanto pare tutti, persino i giornalisti, hanno accettato, come normalità. Quello che davvero succede sulle coste libiche e tunisine non viene indagato né raccontato, nel nuovo buco nero che è diventata l’informazione in tempi di EuNavForMed. Non si è saputo quasi nulla della dinamica reale della quarta strage in meno di dieci giorni. Perché prima del 10 luglio, ricordiamo, è avvenuto il naufragio del 10 luglio a 60 mila delle coste libiche (12 salme a Palermo), del 9 luglio scorso al largo di El_ketef in Tunisia (10 corpi recuperati ma 20 avvistati) e del 5 luglio nei pressi di El-Bibane, sud Tunisia ( 5 cadaveri ritrovati). Nessuna inchiesta dai media, anzi, non si tiene più neanche il conto dei morti e dei dispersi. Vittime sprofondate e annegate dalla censura, nuovi desaparecidos. Perché finora soltanto i cadaveri che riaffiorano, restituiti dal mare, raccontano la verità. La fossa comune-Mediterraneo. Ma quanti altri, forse centinaia, migliaia di dispersi, annegati, scomparsi, sono quelli di cui non si saprà mai nulla? Noi, cittadini, non possiamo accettare che questo avvenga. Intanto, un passo decisivo potrà venire dal Tribunale Permanente dei Popoli, che aprirà una sessione per giudicare i crimini contro l’umanità nel Mediterraneo.

Firma: COMITATO VERITA E GIUSTIZIA PER I NUOVI DESAPARECIDOS NEL MEDITERRANEO

Stragi migranti, silenzio. media di guerra

luglio 18, 2015 § 1 Commento


Il 14 luglio, il mare libico ha restituito almeno un centinaio di morti sulle spiagge di Tajoura
, una località situata circa 10 chilometri a est di Tripoli. Molte le donne e i bambini. Le autorità libiche non hanno confermato il numero esatto delle vittime, né specificato la loro nazionalità o provenienza. Ma, stando alle prime ricostruzioni, grazie al sito Migrant Report (basato a Malta), è la più grande strage di migranti dopo quella del 18 aprile scorso nella quale hanno perso la vita circa 850 persone. Eppure nessun telegiornale, nemmeno la Rai (tranne Rai News 24), nessun giornale a grande tiratura (tranne il quotidiano cattolico Avvenire), riporta la notizia. Un silenzio profondo come la fossa comune che è ormai diventato il Mediterraneo. E che tutti, persino i giornalisti, hanno accettato.

Il 10 luglio scorso, era già avvenuto un altro naufragio sulle coste libiche. I cadaveri di 12 migranti, tra cui due donne incinte, sono stati recuperati dalla nave Dattilo e da altri mezzi della guardia costiera italiana, intervenuti a 40 miglia a nord delle coste libiche. I migranti erano a bordo di un gommone semiaffondato, sul quale c’erano altre 106 persone, che sono state tratte in salvo e portate a Palermo.

Il 9 luglio, sulle coste tunisine, all’altezza del porto di EL-Ketef, un’altra strage, passata sotto silenzio nei media italiani: 10 i cadaveri recuperati inizialmente dalla Guardia Costiera tunisina, ma le vittime potrebbero essere molto più numerose, come suggerisce l’agenzia AGI : “Una ventina di altri corpi sono stati avvistati nella zona, dov’è affondata un’imbarcazione salpata dalle coste libiche e diretta verso l’Italia“. La notizia dell’avvistamento di questi altri 20 corpi senza vita è stata confermata da media e agenzie tunisine, prospettando una ennesima strage ignota con almeno 30 vittime, solo tenendo conto delle salme recuperate o avvistate e non anche dei presumibili dispersi.

Non solo: il 5 luglio nei pressi di El-Bibane, nel Sud della Tunisia, a breve distanza dal confine con la Libia, sono stati trovati in mare cinque cadaveri, indice di un altro naufragio con non si sa esattamente quante vittime.

Quella di Tajoura, quindi, è la quarta strage in meno di dieci giorni. Una settimana che passerà per la più tragica dallo scorso aprile: in sette giorni almeno 150 morti accertati. Sotto certi aspetti, anzi, è la strage peggiore, perché censurata. Rimossa, primo esempio di stampa embedded in tempi di guerra.
Cosa succede davvero sulle coste libiche? I giornali scrivono, ripetono senza sosta, a 40/60 mila “al largo delle coste libiche”. Un misterioso, fumoso, equivoco “al largo”, senza preoccuparsi di individuare il punto preciso e trascurando qualsiasi vera informazione sulla dinamica e le circostanze del “naufragio”. Rovesciamenti, respingimenti, speronamenti, bombardamenti? Sono domande che restano senza risposta. Emerge invece ormai quasi la certezza, più che il sospetto, del coinvolgimento, nel tentativo di blocco dei gommoni in fuga, delle guardie costiere libica e tunisina, finanziate e addestrate negli scorsi anni anche dallo Stato italiano.

Tragedie e respingimenti, ormai quotidiani, ma taciuti sulle coste libiche: un “buco nero” dove sprofonda il diritto all’informazione. Censura di Stato. Solo siti indipendenti di attivisti e giornalisti freelance del Maghreb, ancora umani, danno la notizia e cercano di approfondirla il più possibile. Dove sono i giornalisti italiani, le indagini, le inchieste, i testimoni, le sentinelle? Stampa imbavagliata. Dalle rivelazioni di Wikileaks, il 26 maggio scorso, sui due protocolli riservati della Ue, eravamo avvisati. Per la stampa mainstream, non si deve sapere dei morti. Vittime collaterali dell’operazione EuNavForMed ormai in corso. Al posto dei mezzi navali europei adesso intervengono quasi esclusivamente la Guardia costiera italiana ed i battelli privati di MOAS e di Medici senza frontiere. Centinaia di cadaveri di migranti rimangono in mare. Vittime collaterali della guerra agli scafisti che in realtà si rivolge, anche prima che vengano salvate, contro barconi carichi di persone. Ma c’è anche ci su quelle imbarcazioni spara.

Ad aprire il fuoco su imbarcazioni cariche di migranti, sono mezzi della guardia costiera che le diverse milizie libiche utilizzano per controllare il litorale e lo specchio di mare delle zone in loro potere. Nei giorni scorsi (il 10 luglio) una “motovedetta libica”, al momento della partenza dalla costa, ha fatto fuoco su un gommone con 52 migranti (poi soccorsi in mare dalla Marina italiana e accolti a Pozzallo). Era successo già il mese scorso. Ma delle indagini non si è saputo più nulla.

Ormai non si fa alcuna inchiesta o approfondimento. Anzi, non si tiene più neanche il conto dei morti e dei dispersi. Come se – vale la pena ripeterlo – la fossa comune-Mediterraneo fosse diventata normalità accettata da tutti, in questa fase storica dell’Europa, pervicacemente ostile ad aprire corridoi umanitari e a rilasciare visti legali di immigrazione per profughi, richiedenti asilo, migranti. Come se non si trattasse di esseri umani.

A denunciare, a rivelare cosa sta accadendo davvero, sono finora soltanto i cadaveri che riaffiorano. Restituiti dal mare. Spiaggiati. Quanti altri, forse centinaia, migliaia di dispersi, annegati, scomparsi, sono quelli di cui non si saprà mai nulla? Nemmeno i nomi. Desaparecidos.

Noi sappiamo, però, che è in corso una vera guerra de facto, censurata, contro i migranti. La strategia del Comitato Militare dell’Ue è quella di bloccare i migranti ad ogni costo, bombardare per “frenare il flusso”. I colpevoli li giudicherà la Storia. Ma non basta: occorre ottenere giustizia subito, per porre fine a tutto questo. Un passo decisivo potrà venire dal Tribunale Permanente dei Popoli, che aprirà una sessione per giudicare i crimini contro l’umanità nel Mediterraneo.

@Flore Murard-Yovanovitch, 18 luglio 2015

Derive

luglio 17, 2015 § Lascia un commento

Inizio della derive razziale, pogrom anti-migranti giacciono, nelle cellule occidentali della crisi. Quest’estate 2015, quest’estate storica (per la guerra, la psicosi anti-migrante che scorre nelle menti europei e la rimozione della fossa comune- Mediterraneo) rischia di segnare la derive storica verso il conflitto etnico. Arginarlo.

Notizia spaventosa dell’assedio a Quinto di Treviso a cento migranti senza luce (Cfr. Michele Serra sulla Repubblica di oggi, 17 luglio 2015).

Negazione